Didone abbandonata, Parigi, Hérissant, 1780

 ATTO SECONDO
 
 SCENA PRIMA
 
 Appartamenti reali con tavolino e sedia.
 
 SELENE ed ARASPE
 
 SELENE
 Chi fu che all'inumano
555disciolse le catene?
 ARASPE
 A me, bella Selene, il chiedi invano.
 Io prigioniero e reo,
 libero ed innocente in un momento
 sciolto mi vedo e sento
560fra' lacci il mio signor; il passo muovo
 a suo pro nella reggia e vel ritrovo.
 SELENE
 Ah contro Enea v'è qualche frode ordita.
 Difendi la sua vita.
 ARASPE
                                      È mio nemico;
 pur se brami che Araspe
565dall'insidie il difenda,
 tel prometto; sin qui
 l'onor mio nol contrasta;
 ma ti basti così.
 SELENE
                                Così mi basta. (In atto di partire)
 ARASPE
 Ah non toglier sì tosto
570il piacer di mirarti agli occhi miei.
 SELENE
 Perché?
 ARASPE
                  Tacer dovrei ch'io sono amante;
 ma reo del mio delitto è il tuo sembiante.
 SELENE
 Araspe, il tuo valore,
 il volto tuo, la tua virtù mi piace;
575ma già pena il mio cor per altra face.
 ARASPE
 Quanto son sventurato!
 SELENE
                                             È più Selene.
 Se t'accende il mio volto,
 narri almen le tue pene ed io le ascolto.
 Io l'incendio nascoso
580tacer non posso e palesar non oso.
 ARASPE
 Soffri almen la mia fede.
 SELENE
 Sì, ma da me non aspettar mercede.
 Se può la tua virtude
 amarmi a questa legge, io tel concedo;
585ma non chieder di più.
 ARASPE
                                              Di più non chiedo.
 SELENE
 
    Ardi per me fedele,
 serba nel cor lo strale
 ma non mi dir crudele,
 se non avrai mercé.
 
590   Hanno sventura eguale
 la tua, la mia costanza;
 per te non v'è speranza,
 non v'è pietà per me. (Parte)
 
 SCENA II
 
 ARASPE solo
 
 ARASPE
 Tu dici ch'io non speri
595ma nol dici abbastanza;
 l'ultima che si perde è la speranza. (Parte)
 
 SCENA III
 
 DIDONE con foglio in mano, OSMIDA e poi SELENE
 
 DIDONE
 Già so che si nasconde
 de' Mori il re sotto il mentito Arbace.
 Ma, sia qual più gli piace, egli m'offese;
600e senz'altra dimora,
 o suddito o sovrano, io vuo' che mora.
 OSMIDA
 Sempre in me de' tuoi cenni
 il più fedele esecutor vedrai.
 DIDONE
 Premio avrà la tua fede.
 OSMIDA
605E qual premio, o regina? Adopro invano
 per te fede e valore;
 occupa solo Enea tutto il tuo core.
 DIDONE
 Taci, non rammentar quel nome odiato.
 È un perfido, è un ingrato,
610è un'alma senza legge e senza fede.
 Contro me stessa ho sdegno,
 perché finor l'amai.
 OSMIDA
 Se lo torni a mirar, ti placherai.
 DIDONE
 Ritornarlo a mirar! Per finch'io viva
615mai più non mi vedrà quell'alma rea.
 SELENE
 Teco vorrebbe Enea
 parlar, se gliel concedi.
 DIDONE
 Enea! Dov'è?
 SELENE
                            Qui presso
 che sospira il piacer di rimirarti.
 DIDONE
620Temerario! Che venga. (Selene parte) Osmida, parti.
 OSMIDA
 Io non tel dissi? Enea
 tutta del cor la libertà t'invola.
 DIDONE
 Non tormentarmi più; lasciami sola. (Osmida parte)
 
 SCENA IV
 
 DIDONE ed ENEA
 
 DIDONE
 Come! Ancor non partisti? Adorna ancora
625questi barbari lidi il grande Enea?
 E pure io mi credea
 che, già varcato il mar, d'Italia in seno
 in trionfo traessi
 popoli debellati e regi oppressi.
 ENEA
630Quest'amara favella
 mal conviene al tuo cor, bella regina.
 Del tuo, dell'onor mio
 sollecito ne vengo. Io so che vuoi
 del moro il fiero orgoglio
635con la morte punir.
 DIDONE
                                      E questo è il foglio.
 ENEA
 La gloria non consente
 ch'io vendichi in tal guisa i torti miei;
 se per me lo condanni...
 DIDONE
 Condannarlo per te! Troppo t'inganni.
640Passò quel tempo, Enea,
 che Dido a te pensò. Spenta è la face,
 è sciolta la catena
 e del tuo nome or mi rammento appena.
 ENEA
 Pensa che il re de' Mori
645è l'orator fallace.
 DIDONE
 Io non so qual ei sia, lo credo Arbace.
 ENEA
 Oh dio! Con la sua morte
 tutta contro di te l'Africa irriti.
 DIDONE
 Consigli or non desio;
650tu provvedi a' tuoi regni, io penso al mio.
 Senza di te finor leggi dettai;
 sorger senza di te Cartago io vidi.
 Felice me, se mai
 tu non giungevi, ingrato, a questi lidi!
 ENEA
655Se sprezzi il tuo periglio,
 donalo a me; grazia per lui ti chieggio.
 DIDONE
 Sì, veramente io deggio
 il mio regno e me stessa al tuo gran merto.
 A sì fedele amante,
660ad eroe sì pietoso, a' giusti prieghi
 di tanto intercessor nulla si nieghi. (Va al tavolino)
 Inumano! Tiranno! È forse questo
 l'ultimo dì che rimirar mi dei;
 vieni sugli occhi miei;
665sol d'Arbace mi parli e me non curi!
 T'avessi pur veduto
 d'una lagrima sola umido il ciglio!
 Uno sguardo, un sospiro,
 un segno di pietade in te non trovo;
670e poi grazie mi chiedi?
 Per tanti oltraggi ho da premiarti ancora?
 Perché tu lo vuoi salvo, io vuo' che mora. (Soscrive)
 ENEA
 Idol mio, che pur sei
 ad onta del destin l'idolo mio,
675che posso dir? Che giova
 rinnovar co' sospiri il tuo dolore?
 Ah! Se per me nel core
 qualche tenero affetto avesti mai,
 placa il tuo sdegno e rasserena i rai.
680Quell'Enea tel domanda
 che tuo cor, che tuo bene un dì chiamasti,
 quel che finora amasti
 più della vita tua, più del tuo soglio,
 quello...
 DIDONE
                  Basta; vincesti; eccoti il foglio.
685Vedi quanto t'adoro ancora ingrato!
 Con un tuo sguardo solo
 mi togli ogni difesa e mi disarmi.
 Ed hai cor di tradirmi? E puoi lasciarmi?
 
    Ah! Non lasciarmi, no,
690bell'idol mio;
 di chi mi fiderò,
 se tu m'inganni?
 
    Di vita mancherei
 nel dirti addio,
695che viver non potrei
 fra tanti affanni. (Parte)
 
 SCENA V
 
 ENEA, poi IARBA
 
 ENEA
 Io sento vacillar la mia costanza
 a tanto amore appresso;
 e mentre salvo altrui, perdo me stesso.
 IARBA
700Che fa l'invitto Enea? Gli veggo ancora
 del passato timore i segni in volto.
 ENEA
 Iarba da' lacci è sciolto!
 Chi ti diè libertà?
 IARBA
                                    Permette Osmida
 che per entro la reggia io mi raggiri;
705ma vuol ch'io vada errando
 per sicurezza tua senza il mio brando.
 ENEA
 Così tradisce Osmida
 il comando real?
 IARBA
                                 Dimmi, che temi?
 Ch'io fuggendo m'involi a queste mura?
710Troppo vi resterò per tua sventura.
 ENEA
 La tua sorte presente
 fa pietà, non timore.
 IARBA
 Risparmia al tuo gran core
 questa pietà. D'una regina amante
715tenta pure a mio danno,
 cerca pur d'irritar gli sdegni insani.
 Con altr'armi non sanno
 le offese vendicar gli eroi troiani.
 ENEA
 Leggi. La regal donna in questo foglio
720la tua morte segnò di propria mano.
 Se Enea fosse africano,
 Iarba estinto saria. Prendi ed impara,
 barbaro, discortese,
 come vendica Enea le proprie offese. (Lacera il foglio e parte)
 
 SCENA VI
 
 IARBA solo
 
 IARBA
725Così strane venture io non intendo.
 Pietà nel mio nemico,
 infedeltà nel mio seguace io trovo.
 Ah forse a danno mio
 l'uno e l'altro congiura.
730Ma di lor non ho cura.
 Pietà finga il rivale,
 sia l'amico fallace,
 non sarà di timor Iarba capace.
 
    Fosca nube il sol ricopra
735o si scopra il ciel sereno,
 non si cangia il cor nel seno,
 non si turba il mio pensier.
 
    Le vicende della sorte
 imparai con alma forte
740dalle fasce a non temer. (Parte)
 
 SCENA VII
 
 Atrio.
 
 ENEA, poi ARASPE
 
 ENEA
 Fra il dovere e l'affetto
 ancor dubbioso in petto ondeggia il core.
 Purtroppo il mio valore
 all'impero servì d'un bel sembiante.
745Ah una volta l'eroe vinca l'amante.
 ARASPE
 Di te finora in traccia
 scorsi la reggia.
 ENEA
                               Amico,
 vieni fra queste braccia.
 ARASPE
 Allontanati, Enea; son tuo nemico.
750Snuda, snuda quel ferro;
 guerra con te, non amicizia io voglio.
 ENEA
 Tu di Iarba all'orgoglio
 prima m'involi e poi
 guerra mi chiedi ed amistà non vuoi?
 ARASPE
755T'inganni. Allor difesi
 la gloria del mio re, non la tua vita.
 Con più nobil ferita
 rendergli a me s'aspetta
 quella, che tolsi a lui, giusta vendetta.
 ENEA
760Enea stringer l'acciaro
 contro il suo difensore!
 ARASPE
                                             Olà, che tardi?
 ENEA
 La mia vita è tuo dono,
 prendila pur se vuoi; contento io sono.
 Ma ch'io debba a tuo danno armar la mano,
765generoso guerrier, lo speri invano.
 ARASPE
 Se non impugni il brando,
 a ragion ti dirò codardo e vile.
 ENEA
 Questa ad un cor virile
 vergognosa minaccia Enea non soffre.
770Ecco per soddisfarti io snudo il ferro.
 Ma prima i sensi miei
 odan gli uomini tutti, odan gli dei.
 Io son d'Araspe amico;
 io debbo la mia vita al suo valore.
775Ad onta del mio core
 discendo al gran cimento,
 di codardia tacciato;
 e per non esser vil, mi rendo ingrato. (In atto di battersi)
 
 SCENA VIII
 
 SELENE e detti
 
 SELENE
 Tanto ardir nella reggia? Olà, fermate.
780Così mi serbi fé? Così difendi,
 Araspe traditor, d'Enea la vita?
 ENEA
 No, principessa, Araspe
 non ha di tradimenti il cor capace.
 SELENE
 Chi di Iarba è seguace
785esser fido non può.
 ARASPE
                                      Bella Selene,
 puoi tu sola avanzarti
 a tacciarmi così.
 SELENE
                                 T'accheta e parti.
 ARASPE
 
    Tacerò, se tu lo brami;
 ma fai torto alla mia fede,
790se mi chiami traditor.
 
    Porterò lontano il piede;
 ma di questi sdegni tuoi
 so che poi tu avrai rossor. (Parte)
 
 SCENA IX
 
 SELENE ed ENEA
 
 ENEA
 Allorché Araspe a provocar mi venne,
795del suo signor sostenne
 le ragioni con me. La sua virtude
 se condannar pretendi,
 troppo quel core ingiustamente offendi.
 SELENE
 Sia qual ei vuole Araspe, or non è tempo
800di favellar di lui. Brama Didone
 teco parlar.
 ENEA
                        Poc'anzi
 dal suo real soggiorno io trassi il piede.
 Se di nuovo mi chiede
 ch'io resti in questa arena,
805invan s'accrescerà la nostra pena.
 SELENE
 Come fra tanti affanni,
 cor mio, chi t'ama abbandonar potrai?
 ENEA
 Selene, a me cor mio?
 SELENE
 È Didone che parla e non son io.
 ENEA
810Se per la tua germana
 così pietosa sei,
 non curar più di me, ritorna a lei.
 Dille che si consoli,
 che ceda al fato e rassereni il ciglio.
 SELENE
815Ah no! Cangia, mio ben, cangia consiglio.
 ENEA
 Tu mi chiami tuo bene?
 SELENE
 È Didone che parla e non Selene.
 Vieni e l'ascolta. È l'unico conforto
 ch'ella implora da te.
 ENEA
                                         D'un core amante
820quest'è il solito inganno;
 va cercando conforto e trova affanno.
 
    Tormento il più crudele
 d'ogni crudel tormento
 è il barbaro momento
825che in due divide un cor.
 
    È affanno sì tiranno
 che un'alma nol sostiene.
 Ah! Nol provar, Selene,
 se nol provasti ancor. (Parte)
 
 SCENA X
 
 SELENE sola
 
 SELENE
830Stolta! Per chi sospiro? Io senza speme
 perdo la pace mia. Ma chi mi sforza
 invano a sospirar? Scelgasi un core
 più grato a' voti miei. Scelgasi un volto
 degno d'amor. Scelgasi... Oh dio! La scelta
835nostro arbitrio non è. Non è bellezza,
 non è senno o valore
 che in noi risvegli amore; anzi talora
 il men vago, il più stolto è che s'adora.
 Bella ciascuno poi finge al pensiero
840la fiamma sua ma poche volte è vero.
 
    Ogni amator suppone
 che della sua ferita
 sia la beltà cagione
 ma la beltà non è.
 
845   È un bel desio che nasce
 allor che men s'aspetta;
 si sente che diletta
 ma non si sa perché. (Parte)
 
 SCENA XI
 
 Gabinetto con sedie.
 
 DIDONE, poi ENEA
 
 DIDONE
 Incerta del mio fato
850io più viver non voglio. È tempo ormai
 che per l'ultima volta Enea si tenti.
 Se dirgli i miei tormenti,
 se la pietà non giova,
 faccia la gelosia l'ultima prova.
 ENEA
855Ad ascoltar di nuovo
 i rimproveri tuoi vengo, o regina.
 So che vuoi dirmi ingrato,
 perfido, mancator, spergiuro, indegno;
 chiamami come vuoi; sfoga il tuo sdegno.
 DIDONE
860No, sdegnata io non sono. Infido, ingrato,
 perfido, mancator più non ti chiamo;
 rammentarti non bramo i nostri ardori;
 da te chiedo consigli e non amori.
 Siedi. (Siedono)
 ENEA
                (Che mai dirà?)
 DIDONE
                                                Già vedi, Enea,
865che fra nemici è il mio nascente impero.
 Sprezzai finora, è vero,
 le minacce e 'l furor; ma Iarba offeso,
 quando priva sarò del tuo sostegno,
 mi torrà per vendetta e vita e regno.
870In così dubbia sorte
 ogni rimedio è vano;
 deggio incontrar la morte
 o al superbo african porger la mano.
 L'uno e l'altro mi spiace e son confusa.
875Alfin femmina e sola,
 lungi dal patrio ciel, perdo il coraggio;
 e non è meraviglia
 s'io risolver non so; tu mi consiglia.
 ENEA
 Dunque fuor che la morte
880o il funesto imeneo,
 trovar non si potria scampo migliore?
 DIDONE
 V'era purtroppo.
 ENEA
                                  E quale?
 DIDONE
 Se non sdegnava Enea d'esser mio sposo,
 l'Africa avrei veduta
885dall'arabico seno al mar d'Atlante
 in Cartago adorar la sua regnante;
 e di Troia e di Tiro
 rinnovar si potea... Ma che ragiono?
 L'impossibil mi fingo e folle io sono.
890Dimmi, che far degg'io? Con alma forte,
 come vuoi, sceglierò Iarba o la morte.
 ENEA
 Iarba o la morte! E consigliarti io deggio?
 Colei che tanto adoro
 all'odiato rival vedere in braccio!
895Colei...
 DIDONE
                 Se tanta pena
 trovi nelle mie nozze, io le ricuso;
 ma, per tormi agl'insulti,
 necessario è il morir. Stringi quel brando;
 svena la tua fedele;
900è pietà con Didone esser crudele.
 ENEA
 Ch'io ti sveni? Ah! Più tosto
 cada sopra di me del ciel lo sdegno;
 prima scemin gli dei,
 per accrescer tuoi giorni, i giorni miei.
 DIDONE
905Dunque a Iarba mi dono. Olà. (Esce un paggio)
 ENEA
                                                          Deh ferma.
 Troppo, oh dio! per mia pena
 sollecita tu sei.
 DIDONE
                              Dunque mi svena.
 ENEA
 No, si ceda al destino; a Iarba stendi
 la tua destra real. Di pace priva
910resti l'alma d'Enea, purché tu viva.
 DIDONE
 Giacché d'altri mi brami,
 appagarti saprò. Iarba si chiami. (Il paggio parte)
 Vedi quanto son io
 ubbidiente a te.
 ENEA
                                Regina, addio. (S’alzano)
 DIDONE
915Dove, dove? T'arresta.
 Del felice imeneo
 ti voglio spettatore.
 (Resister non potrà).
 ENEA
                                         (Costanza, o core).
 
 SCENA XII
 
 IARBA e detti
 
 IARBA
 Didone, a che mi chiedi?
920Sei folle se mi credi
 dall'ira tua, da tue minacce oppresso.
 Non si cangia il mio cor; sempre è l'istesso.
 ENEA
 (Che arroganza!)
 DIDONE
                                  Deh placa
 il tuo sdegno, o signor. Tu, col tacermi
925il tuo grado e il tuo nome,
 a gran rischio esponesti il tuo decoro.
 Ed io... Ma qui t'assidi
 e con placido volto
 ascolta i sensi miei.
 IARBA
                                       Parla, t'ascolto. (Siedono Iarba e Didone)
 ENEA
930Permettimi che ormai... (In atto di partire)
 DIDONE
                                                Fermati e siedi.
 Troppo lunghe non fian le tue dimore.
 (Resister non potrà).
 ENEA
                                         (Costanza, o core).
 IARBA
 Eh vada. Allor che teco
 Iarba soggiorna, ha da partir costui.
 ENEA
935(Ed io lo soffro?)
 DIDONE
                                  In lui
 invece d'un rival trovi un amico.
 Ei sempre a tuo favore
 meco parlò; per suo consiglio io t'amo.
 Se credi menzognero
940il labbro mio, dillo tu stesso. (Ad Enea)
 ENEA
                                                       È vero.
 IARBA
 Dunque nel re de' Mori
 altro merto non v'è che un suo consiglio?
 DIDONE
 No, Iarba; in te mi piace
 quel regio ardir che ti conosco in volto;
945amo quel cor sì forte,
 sprezzator de' perigli e della morte.
 E se il ciel mi destina
 tua compagna e tua sposa...
 ENEA
                                                    Addio, regina.
 Basta che fin ad ora
950t'abbia ubbidito Enea.
 DIDONE
                                            Non basta ancora.
 Siedi per un momento.
 (Comincia a vacillar).
 ENEA
                                          (Questo è tormento!) (Torna a sedere)
 IARBA
 Troppo tardi, o Didone,
 conosci il tuo dover. Ma pure io voglio
955donar gli oltraggi miei
 tutti alla tua beltà.
 ENEA
                                    (Che pena, o dei!)
 IARBA
 In pegno di tua fede
 dammi dunque la destra.
 DIDONE
                                                 Io son contenta. (Lentamente ed interrompendo le parole, per osservarne l’effetto in Enea)
 A più gradito laccio amor pietoso
960stringer non mi potea.
 ENEA
 Più soffrir non si può. (S’alza agitato)
 DIDONE
                                            Qual ira, Enea?
 ENEA
 E che vuoi? Non ti basta
 quanto finor soffrì la mia costanza?
 DIDONE
 Eh taci.
 ENEA
                  Che tacer? Tacqui abbastanza.
965Vuoi darti al mio rivale,
 brami ch'io tel consigli;
 tutto faccio per te; che più vorresti?
 Ch'io ti vedessi ancor fra le sue braccia?
 Dimmi che mi vuoi morto e non ch'io taccia.
 DIDONE
970Odi. A torto ti sdegni. (S’alza)
 Sai che per ubbidirti...
 ENEA
                                            Intendo, intendo;
 io sono il traditor, son io l'ingrato;
 tu sei quella fedele
 che per me perderebbe e vita e soglio;
975ma tanta fedeltà veder non voglio. (Parte)
 
 SCENA XIII
 
 DIDONE e IARBA
 
 DIDONE
 Senti.
 IARBA
               Lascia che parta. (S’alza)
 DIDONE
                                                I suoi trasporti
 a me giova calmar.
 IARBA
                                     Di che paventi?
 Dammi la destra e mia
 di vendicarti poi la cura sia.
 DIDONE
980D'imenei non è tempo.
 IARBA
 Perché?
 DIDONE
                  Più non cercar.
 IARBA
                                                Saperlo io bramo.
 DIDONE
 Giacché vuoi, tel dirò: perché non t'amo,
 perché mai non piacesti agli occhi miei,
 perché odioso mi sei, perché mi piace,
985più che Iarba fedele, Enea fallace.
 IARBA
 Dunque, perfida, io sono
 un oggetto di riso agli occhi tuoi!
 Ma sai chi Iarba sia?
 Sai con chi ti cimenti?
 DIDONE
990So che un barbaro sei né mi spaventi.
 IARBA
 
    Chiamami pur così.
 Forse pentita un dì
 pietà mi chiederai
 ma non l'avrai da me.
 
995   Quel barbaro che sprezzi
 non placheranno i vezzi;
 né soffrirà l'inganno
 quel barbaro da te. (Parte)
 
 SCENA XIV
 
 DIDONE sola
 
 DIDONE
 E pure in mezzo all'ire
1000trova pace il mio cor. Iarba non temo;
 mi piace Enea sdegnato ed amo in lui,
 come effetti d'amor, gli sdegni sui.
 Chi sa. Pietosi numi,
 rammentatevi almeno
1005che foste amanti un dì come son io;
 ed abbia il vostro cor pietà del mio.
 
    Va lusingando amore
 il credulo mio core;
 gli dice: «Sei felice»;
1010ma non sarà così.
 
    Per poco mi consolo;
 ma più crudele io sento
 poi ritornar quel duolo
 che sol per un momento
1015dall'alma si partì. (Parte)
 
 Fine dell’atto secondo